Dalla storia di famiglia a quella d'Italia
Ferdinando Bergamaschi ha presentato il volume "Amando Mussolini"
piacenza - Era gremito l'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano l'altra sera per la presentazione del volume Amando Mussolini (Seb Edizioni, 360 pp) di Ferdinando Bergamaschi (il padre Massimo, seduto in prima fila insieme alla mamma Enrica sono visibilmente commossi), in una storia di famiglia che è poi un pezzo di storia d'Italia che prende il via nel 1914 e giunge fino ai primi anni Sessanta. Tra "neri" e "rossi", vendette e violenze di un'epoca lontana in cui emergono gli ideali e le speranze di un Paese che si crede grande e di un regime che crollerà sotto i colpi di una guerra insostenibile.
Francesco Mastrantonio che del libro ha scritto la prefazione ha illustrato il lavoro svolto dal ventisettenne ricercatore piacentino, dove i luoghi, che sono quelli della Bassa, del Grande Fiume e poi Piacenza, Cremona e Parma hanno il loro peso, perché se a Cremona furoreggia il gerarca Farinacci, Piacenza vive la stagione di Bernardo Barbiellini Amidei.
E che c'entra in tutto questo il podere Casa Bianca di Besenzone? E' il teatro, il "locus", il fulcro delle vicende di una saga familiare, quella dei Bergamaschi, e in particolare quella di Vittorio e Ferdinando, detto Nanòn (il prozio e il nonno paterni), che vivono fino al paradosso un sentimento che fu anche passione politica per un ideale, quello di Mussolini e del fascismo.
«Figli di un padre socialista che diventa proprietario terriero - ha detto Ferdinando Bergamaschi nel suo intervento - entrambi si lanciano nel turbinio degli eventi di quegli anni. Vittorio è un socialista interventista e aderisce nel 1914 ai Fasci d'Azione fondati dal sindacalista rivoluzionario Filippo Corridoni e dal socialista interventista Benito Mussolini. Vittorio parte volontario, è un soldato di valore, decorato e partecipa anche alle azioni sull'Isonzo, sul Piave e poi viene spedito in Albania».
Ferdinando Bergamaschi, l'ha detto apertamente anche l'altra sera, sollecitato da Pino De Rosa, esponente del movimento "Piacenza Antagonista", è di parte, molto parziale, non nega, anzi ne fa un vanto, una filosofia di vita e ha voluto ricordare quando nell'ottobre del 1919, alcune migliaia di leghisti rossi assediarono la "Casa Bianca" per sterminare Vittorio, assieme al fratello Ferdinando che con l'aiuto dei contadini e di una dozzina di soldati organizzarono la difesa, qualcuno tra i contestatari ci lasciò la vita, ma sono storie difficili e violente, fortunatamente lontane ma ancora vive in questo giovane. «Nel 1921 Vittorio - ha proseguito Bergamaschi - pioniere del fascismo piacentino e parmense e capo squadrista, viene assassinato la notte di Carnevale. Ferdinando diventa un capo squadrista e attraverso i carteggi di Nanòn con gli amici più fedeli ho voluto raccontarne vita e vicende. Conla Repubblica Sociale , Nanòn fu comandante della brigata nera di Cortemaggiore». Drammatiche nella descrizione dell'autore anche le ore della cattura del Duce e la "mistica fascista" che accompagnò Nanòn fino alla sua morte che avvenne nel 1962.
Ha sottolineato di avere svolto un lavoro storico: «La mole di documenti è immensa - ha detto - ho svolto un lavoro storico senza dimenticare le mie origini, quel pensiero che ruota attorno alla figura di Mussolini che non può essere dimenticato». Il libro è ricco e molto documentato, le storie fanno parte di un passato ormai remoto: è l'immagine riflessa di un regime, di consapevolezze e di certezze tinte di nero. Il lavoro è coraggioso - ha sottolineato Francesco Mastrantonio - di un giovane autore che ha voluto fare chiarezza nella storia di una generazione».
Mauro Molinaroli
Francesco Mastrantonio che del libro ha scritto la prefazione ha illustrato il lavoro svolto dal ventisettenne ricercatore piacentino, dove i luoghi, che sono quelli della Bassa, del Grande Fiume e poi Piacenza, Cremona e Parma hanno il loro peso, perché se a Cremona furoreggia il gerarca Farinacci, Piacenza vive la stagione di Bernardo Barbiellini Amidei.
E che c'entra in tutto questo il podere Casa Bianca di Besenzone? E' il teatro, il "locus", il fulcro delle vicende di una saga familiare, quella dei Bergamaschi, e in particolare quella di Vittorio e Ferdinando, detto Nanòn (il prozio e il nonno paterni), che vivono fino al paradosso un sentimento che fu anche passione politica per un ideale, quello di Mussolini e del fascismo.
«Figli di un padre socialista che diventa proprietario terriero - ha detto Ferdinando Bergamaschi nel suo intervento - entrambi si lanciano nel turbinio degli eventi di quegli anni. Vittorio è un socialista interventista e aderisce nel 1914 ai Fasci d'Azione fondati dal sindacalista rivoluzionario Filippo Corridoni e dal socialista interventista Benito Mussolini. Vittorio parte volontario, è un soldato di valore, decorato e partecipa anche alle azioni sull'Isonzo, sul Piave e poi viene spedito in Albania».
Ferdinando Bergamaschi, l'ha detto apertamente anche l'altra sera, sollecitato da Pino De Rosa, esponente del movimento "Piacenza Antagonista", è di parte, molto parziale, non nega, anzi ne fa un vanto, una filosofia di vita e ha voluto ricordare quando nell'ottobre del 1919, alcune migliaia di leghisti rossi assediarono la "Casa Bianca" per sterminare Vittorio, assieme al fratello Ferdinando che con l'aiuto dei contadini e di una dozzina di soldati organizzarono la difesa, qualcuno tra i contestatari ci lasciò la vita, ma sono storie difficili e violente, fortunatamente lontane ma ancora vive in questo giovane. «Nel 1921 Vittorio - ha proseguito Bergamaschi - pioniere del fascismo piacentino e parmense e capo squadrista, viene assassinato la notte di Carnevale. Ferdinando diventa un capo squadrista e attraverso i carteggi di Nanòn con gli amici più fedeli ho voluto raccontarne vita e vicende. Con
Ha sottolineato di avere svolto un lavoro storico: «La mole di documenti è immensa - ha detto - ho svolto un lavoro storico senza dimenticare le mie origini, quel pensiero che ruota attorno alla figura di Mussolini che non può essere dimenticato». Il libro è ricco e molto documentato, le storie fanno parte di un passato ormai remoto: è l'immagine riflessa di un regime, di consapevolezze e di certezze tinte di nero. Il lavoro è coraggioso - ha sottolineato Francesco Mastrantonio - di un giovane autore che ha voluto fare chiarezza nella storia di una generazione».
Mauro Molinaroli
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