Noi, gendarmi della memoria che
mettiamo in guardia sul fascismo
mettiamo in guardia sul fascismo
di ROMANO REPETTI*
Fare "i gendarmi della memoria, i gendarmi del passato": sarebbe questa la colpa dell'Anpi, quando sottolinea la necessità di non dimenticare che in Italia abbiamo avuto un regime politico, quello fascista, che si impose con la violenza e l'assassinio, che abolì ogni libertà politica e di opinione, che teneva gli italiani sotto il controllo di una capillare rete di spie, che infine, sposando le criminali ambizioni di Hitler di sottomettere gli altri popoli europei al dominio della "razza ariana", portò l'Italia via via in guerra contro la Francia, l'Inghilterra, la Grecia, la Jugoslavia, l'Urss e infine gli stessi Usa, una guerra mondiale che provocò oltre cinquanta milioni di morti, violenze e sofferenze inenarrabili, e naturalmente la prevedibile disfatta militare della stessa Italia. E non è tutto: dopo che, finalmente, dallo stesso Gran consiglio del fascismo fu scaricato Mussolini ed il nuovo governo legittimo dell'Italia pose fine alla guerra con le forze anglo-americane, vi furono ancora numerosi fascisti che si misero al servizio dell'occupazione nazista dell'Italia e del proseguimento della guerra, tramite il nuovo regime mussoliniano di Salò, la cui costituzione, non va dimenticato, fu decisa personalmente da Hitler il 10 settembre '43 nella sua cancelleria di Berlino.
Ricordare questo doloroso passato e il fatto che la libertà e la dignità dell'Italia fu poi per fortuna riscatta dai tanti italiani che dopo il settembre del '43 non si piegarono più al dominio nazi-fascista, imbracciarono le armi per combatterlo e contribuirono in modo significativo a sconfiggerlo, aprendo il nuovo capitolo dell'Italia repubblicana, è in realtà una condizione essenziale per trarre dalla storia lezioni e stimoli a difesa e miglioramento delle nostre attuali istituzioni democratiche, e a sviluppare i conflitti economici, sociali e politici, che anche al nostro tempo non mancano, su un terreno di civile convivenza.
Quanto rimanga attuale questo problema - conoscere la storia e trarne le dovuti lezioni - emerge anche da talune delle prese di posizione ospitate da queste pagine di Libertà riguardo alla intitolazione di una piazza di San Nicolò a un esponente piacentino della Repubblica di Salò - non di secondo piano visto che, come da resoconto della "Scure" a tutta pagina, fu proprio lui, " il camerata Andrea Rossi", a tenere la "prolusione" all'ultima grande adunata dei fascisti piacentini, il 18 marzo 1945 al Teatro Municipale, durante la quale, in un mondo ridotto a cumuli di macerie, ma per fortuna ormai prossimo alla fine della guerra, lui ancora una volta invitò i piacentini e "levarsi in armi", per andare in aiuto alle forze militari hitleriane e fasciste in rotta.
Quanto mai significativa in particolare la posizione espressa dal signor Pino De Rosa, estremo sostenitore, con ripetuti interventi su Libertà, della intitolazione suddetta. Già aveva manifestato il suo pensiero politico in un lettera pubblicata il 2 gennaio nella quale, commemorando un ex-appartenente alle Brigate Nere, aveva esaltato le pratiche della violenza dello squadrismo fascista e affermato invece, riguardo alle pratiche della democrazia, che "le cabine elettorali sono i moderni vespasiani". In un successivo intervento ha sostenuto che il 28 aprile 1945 non è la data della liberazione di Piacenza dai nazi-fascisti e della fine della guerra, che furono salutati con giubilo dalla popolazione, ma quella "della occupazione anglo-americana della città".
Infine, in un lungo intervento del 24 febbraio, gli attacchi di De Rosa hanno investito, in successione, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il presidente piacentino dell'Isrec, gli Stati Uniti d'America colpevoli di essere ipocritamente intervenuti in Europa durante la seconda guerra mondiale anche per porre fine alle "discriminazione razziali " - lo sterminio di cinque milioni di ebrei è stata dunque per De Rosa una semplice "discriminazione" razziale - l'attuale capo del Governo Mario Monti, i defunti De Gasperi, Spadolini, Fanfani, Padre Gemelli e Giorgio Bocca, il traditore Gianfranco Fini, l'Unione Europea e, buon ultimi, i "rancorosi gendarmi del passato" dell'Anpi. Per concludere con l'esplicitazione del suo credo politico: "l'urgenza di costruire un progetto rivoluzionario" che rimetta alla guida degli uomini le "umane irrazionalità (passioni, pulsioni, ideali, fedi e razza) che finora hanno fatto la storia" (quella fascista e nazista certamente!).
Per De Rosa dunque la politica deve essere guidata non dalla ragione ma dagli istinti, dalle pulsioni irrazionali, ed avere fondamenti razziali. Inoltre, sostiene, è la violenza che ha sempre fatta la storia e dunque dovrà continuare a farla.
E' un credo politico tutt'altro che originale, visto che richiama, ancor più di quello mussoliniano, il credo dichiarato ed attuato da Hitler. D'altra parte è noto che gli esponenti dell'estremismo neofascista italiano hanno come effettivo modello di riferimento appunto quello nazista.
Il fatto poi che anche di Pino De Rosa si possa magari dire che in fondo non è una cattiva persona, che è in buona fede, che non ha mai fatto personalmente del male a nessuno, non deve attenuare ma se mai accrescere l'allarme, perché in tal modo la folle dottrina che rappresenta, in quanto sostenuta da persona ritenuta innocua, riesce a circolare liberamente senza suscitare reazioni fra le forze e le istituzioni della libertà e della democrazia.Sì, l'Anpi, è scritto anche nel programma approvato dal suo ultimo congresso nazionale, "rivendica la propria natura di Associazione custode della vicenda storica attraverso cui l'Italia dalla esperienza autoritaria e violenta del fascismo ha saputo ritrovare la via di un ‘ritorno alla ragione', e mutare la propria identità passando dal totalitarismo alla democrazia". L'Anpi non desisterà quindi dal sollecitare ed incalzare gli amministratori pubblici a non tradire i valori rappresentati dalle istituzioni democratiche che presiedono. E per questo, anche con la presente presa di posizione, ho voluto ulteriormente evidenziare, per gli amministratori comunali e i cittadini di Rottofreno, quali siano i valori e gli obiettivi in nome dei quali uomini come Pino De Rosa sostengono l'intitolazione di una piazza del comune ad un esponetne della Repubblica di Salò e quale significato assumerebbe quindi l'effettuazione di tale scelta.
E mi si permetta, con l'occasione, anche di dire che coloro che, in occasione della Giornata del Ricordo, invitano proprio Pino De Rosa a tenere conferenze sulla drammatica vicenda delle foibe istriane, sarebbe il caso tenessero presente quale sia la sua concezione della storia e della politica, perché chi esalta l'irrazionalità, la violenza e le lotte razziali come matrice della storia non è certamente il soggetto più credibile a compiere una valutazione critica di quella vicenda di violenza e persecuzione, salvo usarla strumentalmente per coprire il fatto che furono le barbarie nazi-fasciste ad innescare in Europa altre violenze inumane e a produrre infinite sofferenze, anche oltre la fine della guerra.
*Segretario del Comitato
provinciale dell'Anpi
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